La piramide e il cubo, ovvero selezione vs inclusione
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Lo sfogo di un insegnante su nozionismo e acquisizione di competenze, partendo da un principio: dall’idea di una scuola, mai realizzata, senza voti e senza bocciature. La scuola giusta della Costituzione, quella dell’esempio di Don Milani.
Al termine del corrente anno scolastico le scuole secondarie superiori certificheranno le competenze (acquisite?) dagli allievi che hanno frequentato le classi seconde: ma sono in grado di farlo? Non si tratterà di un gigantesco falso in atto pubblico? Intanto nelle prime si fa selezione “di classe”.
Sono sempre inquieto al giro di boa e scoraggiato nel riscontrare come in dieci anni nella mia scuola non sia cambiato nulla. E sono stanco di ripetere sempre le stesse cose a chi non le vuole sentire: l’articolo 3 della Costituzione, l’esperienza di Don Milani, la mancata riforma “Berlinguer”, le conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea…
Sebbene la parola “programma” non sia più presente nella legislazione scolastica ormai da dieci anni, la normativa sull’Obbligo di Istruzione, mai effettivamente sperimentata da tutti gli insegnanti, ci imponga la certificazione delle competenze di base, le indicazioni metodologiche presenti nella recente riforma degli Istituti Tecnici siano inequivocabili, il modo di insegnare è sempre lo stesso.
Nonostante la prima finalità del P.O.F. sia la riduzione della dispersione scolastica e vi siano progetti ad hoc, l’invito del nuovo preside a recepire gli aspetti positivi della riforma, un estemporaneo corso di formazione di tre ore e neanche aperto a tutti i docentiorganizzato dall’Ufficio Scolastico Regionale, quasi tutti i “programmi” del biennio del Settore Tecnologico non sono cambiati.
E non è cambiato il modo di fare scuola dove i “contenuti” sono più importanti degli allievi che li devono apprendere, dove i tempi sono scanditi dalle riunioni dei Consigli di Classe e degli scrutini, dove si constata la preparazione in ingresso e “non c’è il tempo” di colmare le lacune pregresse di alcuni mentre altri, già più bravi, vincono premi e concorsi non necessariamente per merito della scuola.
Parole come individualizzazione dell’insegnamento, tempi di apprendimento, stili cognitivi, intelligenze multiple, metacognizione, didattica laboratoriale, problematizzazione dell’apprendimento, contestualizzazione dell’apprendimento, apprendimento cooperativo, costruzione di conoscenze e acquisizione di competenze chiave di cittadinanza sono prive di significato.
Il lessico utilizzato, anche nella modulistica, è diverso: l’alunno ha/non ha lacune di base, ha/non ha difficoltà nello studio, studia/non studia e partecipa/non partecipa. Anche l’uso, scarso, delle ICT ha cambiato la forma ma non la sostanza dell’insegnamento: ora delle lezioni frontali si possono anche fare versioni podcast pubblicabili e certamente sulle LIM righe e colonne vengono più dritte.
Ci si è vaccinati anche per i risultati dei test OCSE-PISA: “intanto il nord va meglio del centro e del sud” alla faccia dell’anniversario dell’Unità d’Italia e delle differenze abissali fra i tre tipi di scuole superiori. Poi: “gli studenti devono affrontare IL TRIENNIO”. Ma per andare dove se non c’è neanche un’università italiana nella classifica delle prime duecento università del mondo?
Nel frattempo i numeri di chi entra, in età di obbligo scolastico, e di chi esce diplomato assumono la consueta disposizione a piramide (in barba agli obiettivi della Conferenza di Lisbona 2000) invece del cubo che dovrebbe essere. Vige imperterrita la legge darwiniana dell’uniformità nell’accesso ma non nell’esito: “noi la possibilità te la diamo, poi sono affari tuoi”! Sono sparite le disparità socioculturali?
Io che sono figlio di operaio, che ora appartengo alla poco ricca casta degli insegnanti, rimpiango una mobilità sociale comunque maggiore di quella odierna. Penso che, prima o poi, mi rifiuterò di essere complice di questa “selezione artificiale” nella rituale firma collegiale dei tabelloni dei voti finali (e ora anche delle certificazioni delle competenze) e continuo a sognare una scuola senza voti e senza bocciature.
Antonello Pesce